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Appena nati già “studiamo” la grammatica.

Fillo

#Freshfromthelab: questa volta le ultime notizie sulla scienza dello sviluppo arrivano dal BabyLab del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, dove il bambino di una delle nostre Referenti Certificate ha partecipato alla ricerca della Professoressa Judit Gervain e del suo team.

Le ricercatrici Anna Martinez, PhD e Francesca Cavicchiolo hanno accolto Filippo e la sua famiglia. Dopo aver spiegato lo studio, le ricercatrici hanno invitato Filippo e la sua mamma a condividere un momento di gioco mentre erano in ascolto di un audio particolare finalizzato alla ricerca: si tratta di un linguaggio inventato composto da vocaboli di fantasia e regole grammaticali artificiali seppur precise; successivamente le ricercatrici hanno messo una cuffietta morbida con dei sensori a Filippo, che ha riascoltato l’audio, questa volta guardando un simpatico video in braccio alla sua mamma, mentre il computer riceveva i dati dalla cuffietta.

Ma cosa stavano cercando di scoprire? Qui vi raccontiamo meglio di questo studio, grazie alla Professoressa che lo ha gentilmente condiviso con noi.

Da dove viene la conoscenza della grammatica? Se pensiamo ai manuali di scuola, immaginare che un neonato conosca già alcune regole grammaticali e che abbia iniziato a riconoscerle e apprenderle quando era ancora nella pancia della sua mamma, ci sembra incredibile.

Eppure, lo studio che la Professoressa Gervain e le ricercatrici del suo team stanno portando avanti all’interno del BabyLab di Padova ci dice che già in utero, il nostro bambino è in grado di imparare delle regole grammaticali. Come è facile immaginare, studiare l’esperienza di un bambino nella pancia della mamma è davvero estremamente complesso, tuttavia, guardando ai neonati nei primissimi giorni di vita, possiamo scoprire che hanno già maturato delle esperienze, hanno già imparato “qualcosa” mentre erano nell’ovattato mondo uterino. Durante questo periodo e fino al primo anno di vita avviene un meraviglioso processo: si chiama sintonizzazione alla lingua madre, vale a dire la scoperta di quei suoni che compongono il linguaggio: le parole, la struttura e la grammatica della lingua (o delle lingue!) parlata dalla mamma (occorrerà aspettare il primo compleanno perché vengano apprese le parole vere e proprie, ma tutto ha inizio da qui!).

Negli ultimi cinquant’anni gli scienziati hanno studiato (e continuano a studiare) come avviene e la strada per comprendere la vicenda fino in fondo è ancora lunga, ma qualche certezza c’è. A oggi sappiamo che il neonato già a 1-2 giorni di vita è in grado di riconoscere certe regole molto semplici che assomigliano alla grammatica di una lingua. Parliamo di capacità basiche – diverse dall’imparare l’uso del condizionale sui libri di scuola – ma ciò che il neonato recepisce e apprende è la ripetizione, o reduplicazione: per questo in molte lingue, quasi in modo universale, le prime parole che sono ripetute ai bambini e che loro imparano hanno due sillabe identiche: ad esempio mam-ma, pa-pà.

Quindi, fin da subito, i nostri bambini hanno la capacità di rappresentare forme, regole e strutture usate poi in una lingua vera e propria.

Come fanno gli scienziati in laboratorio a capire come imparano i bambini? In questi cinquant’anni, chi si occupa di Psicologia dello Sviluppo ha utilizzato diverse metodologie, in particolare quando il piccolo partecipante non può dare delle risposte verbali: ad esempio osservando il suo comportamento, dove si posa il suo sguardo, su quali immagini o oggetti si sofferma la sua attenzione  (ne abbiamo parlato anche qui) oppure attraverso un “ciuccio magico” collegato a un computer che misura l’intensità e la frequenza di suzione del bambino – che aumenta quando è interessato a qualcosa. Negli ultimi vent’anni, la ricerca ha cominciato ad avvalersi delle tecniche di neuroimaging: metodi sicuri, non invasivi e ben tollerati che grazie a una cuffietta permettono agli scienziati di vedere quali aree del cervello del neonato si attivano quando gli vengono fatte ascoltare delle frasi nella lingua madre o in una lingua straniera. Anche mentre dorme!

Grazie a queste tecniche, il gruppo di ricerca della Professoressa Gervain, che lavora con neonati e bambini nel primo anno di vita, ha scoperto che già durante la vita prenatale il bambino apprende la prosodia della lingua madre, cioè la musicalità, l’intonazione, la melodia e la ritmicità della lingua parlata dalla mamma: alla nascita, infatti, il cervello del bambino risponde in modo diverso alla prosodia della lingua materna rispetto alla prosodia di una lingua sconosciuta. Il neonato riconosce quindi delle regole di ripetizione legate non solo alla musica o agli stimoli visivi, ma anche quelle legate in modo specifico all’elaborazione del linguaggio. Questa capacità all’inizio è universale, i neonati sono davvero “cittadini del mondo” . Ma nel caso del linguaggio imparare vuol dire “dimenticarsi”. Per specializzarci veramente nella nostra lingua e sintonizzarci alla lingua materna, infatti, c’è un prezzo da pagare: intorno alla fine del primo anno il bambino perde l’incredibile capacità di apprendere ogni suono e ogni regola di qualsiasi lingua del mondo (anche se rimane una certa plasticità fino alla preadolescenza). Certo possiamo imparare una lingua straniera a ogni età, ma lo sappiamo bene, se la impareremo in età adulta non avremo gli stessi risultati dell’essere stati esposti nella prima infanzia. Mantenere questa capacità richiederebbe uno sforzo eccessivo, e non ci permetterebbe di essere davvero dei veri esperti nella nostra lingua madre, cosa che ci è biologicamente più utile per vivere nel nostro contesto sociale.

Questi studi hanno portato gli scienziati a fare un’incredibile scoperta: anche se ancora non sanno elaborare delle parole, l’area del cervello deputata al linguaggio nei neonati e nei bambini non solo è estremamente plastica, ma è già molto matura, quasi quanto quella degli adulti.

E proprio gli adulti giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del linguaggio del bambino, seppure in modo non cosciente, se da un lato siamo portati a ripetere alcune specifiche parole quando i nostri bambini iniziano a parlare,[1] dall’altro, come detto sopra, tendiamo a scegliere inconsapevolmente parole a due sillabe. Questo avviene secondo uno di quei circoli di naturale perfezione che ci permettono non solo di sopravvivere, ma di prosperare e coinvolge due aspetti:

  1. Il primo, legato all’evoluzione della nostra specie che ha fatto sì che il cervello dell’adulto diventasse sensibile ai segnali e alle risposte del bambino: il cucciolo umano è estremamente dipendente dagli adulti, a differenza di altre specie in cui i piccoli sono quasi del tutto autonomi, e il cervello umano matura molto lentamente, con un processo che dura fino a 20-22 anni. Per questo il contributo del genitore, dell’adulto, è fondamentale per la sopravvivenza: abbiamo sviluppato biologicamente l’incredibile capacità di decodificare e interpretare i segnali di questa piccola creatura( ) che dipende da noi e non riesce a comunicare verbalmente.

2. Il secondo vede il contributo del bambino: oggi gli scienziati hanno scoperto che il bambino ha un ruolo attivo nell’interazione, in quanto stimola e risponde all’adulto in modo da ottenere le reazioni o le risposte di cui ha bisogno. Si è visto che già a 6-9 mesi il bambino comunica attraverso la vocalizzazione o la lallazione e il genitore risponde istintivamente ripetendo le sillabe del bambino, magari cambiando intonazione, aggiungendo qualcosa. Il genitore, quindi, osserva se il bambino ha o meno una reazione e se questo comportamento è funzionale all’apprendimento del bambino lo ripete, in una sorta di feedback-loop di interazioni ripetute in cui entrambe le parti forniscono in modo non conscio informazioni che aiutano lo sviluppo del bambino. Un po’ come fanno gli scienziati in laboratorio.

Se tutto questo non bastasse, è ancora più stupefacente che un intero contesto sociale intorno al bambino tende a favorire lo sviluppo del suo linguaggio: non solo i genitori, ma tutti i “grandi” coinvolti nella cura del bambino (fratelli, sorelle, nonni, famiglia estesa) hanno la capacità di codificare il bambino, e a loro volta i bambini cercano di provocare la risposta di cui hanno bisogno. Questo avviene attraverso lo sguardo, il gioco e il modo di parlare.

Siamo tutti adulti “stimolati nella relazione” e biologicamente portati a favorire lo sviluppo del linguaggio dei bambini. Anche quando non lo sappiamo, il nostro cervello sa meglio di noi come supportare al meglio i piccoli umani intorno a noi…concediamoci un attimo per godere di questo ruolo meraviglioso che abbiamo anche quando non ci pensiamo.

Come si fa ricerca al BabyLab dell’Università di Padova

Al BabyLab dell’Università di Padova diversi docenti e ricercatori si occupano dei diversi aspetti dello sviluppo nella prima infanzia (0-5 anni): sviluppo del linguaggio, ma anche capacità sociali, riconoscimento dei volti, il tocco affettivo, legami tra movimento e sviluppo cognitivo, sviluppo delle abilità matematiche. Dal punto di vista delle famiglie, si tratta di piccoli studi che richiedono circa 5-10 minuti, resi piacevoli per i bambini, facili e giocosi. I dati sono raccolti con tecniche diverse: osservazione dello sguardo, manipolazione di oggetti o neuroimaging. “Prendiamo un appuntamento secondo le disponibilità della famiglia – racconta la Prof. Gervain – spieghiamo lo studio, e rispondiamo alle domande e alle curiosità dei genitori. Alla fine, il bambino riceve un piccolo “diploma” di scienziato e lasciamo delle foto alla famiglia se lo desidera. Dopo un paio di mesi cerchiamo di dare un riscontro a livello di gruppo (non sono condotte valutazioni sui singoli bambini), inviando ai genitori i primi risultati sullo studio a cui hanno partecipato”.

Prof. Judit Gervain

Professoressa ordinaria del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, e senior research scientist (directeur de recherche) presso l’Integrative Neuroscience and Cognition Center (CNRS & Université Paris Descartes)

Linguista di formazione, Judit Gervain studia lo sviluppo del linguaggio dal punto di vista biologico, in particolare “da dove viene il linguaggio”: siamo infatti gli unici tra gli animali ad avere un linguaggio complesso e questo è interessante dal punto di vista evolutivo. Nello specifico, la Professoressa Gervain si occupa di comprendere cosa accade nella mente del bambino prima di poter parlare, indagando come si sviluppa il linguaggio. Partire dal bambino, fin dalle sue primissime fasi di vita, permette di ridurre al minimo il contributo dell’esperienza – molto presente nell’adulto – e comprendere sia i fattori biologici, sia il ruolo di quest’ultima nello sviluppo delle competenze legate al linguaggio. 

La nostra rete di Referenti Certificate è una risorsa preziosa. Questa volta il nostro grazie per aver condiviso la sua esperienza al BabyLab e raccolto questo testo per voi va alla nostra Referente Certificata Il Parto Positivo e BabyBrains® Giulia Terranova

[1] ROY, D. New Horizons in the Study of Child Language Acquisition, 2015

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