Visto che e\’ tempo di feste, e che la frase \”Signora facciamo induzione il 22 cosi\’ a Natale siamo tutti tranquilli\” qualcuno l\’ha sentita davvero (e purtroppo non e\’ una licenza poetica del blog), torniamo a parlare di induzione, ma questa volta parliamo di induzione positiva.
Quell\’induzione che serve a qualcosa di piu\’ grande dello stare più tranquilli a Natale e di cui alcune donne ( circa il 10/15% stando alle stime dell\’OMS) possono davvero avere bisogno. Quell\’induzione che, proprio quando e perché davvero necessaria, può e deve essere parte di un parto positivo.
Come reagire al meglio a un\’induzione? Cosa possiamo fare NOI, la mamma e il papa\’ di questo bambino, per affrontare un\’induzione in maniera il piu\’ possibile positiva? E gia\’ che ci siamo cercare di evitare la cascata di interventi che cosi\’ spesso devia un\’induzione verso un cesareo? In sintesi, due cose.
1) Capire e sapere perche\’ e\’ veramente necessaria.
Perché un\’induzione sia parte di un parto positivo e\’ essenziale che noi capiamo, sappiamo, e crediamo anche, che sia davvero il meglio per noi.
Se affrontiamo un\’induzione con la rassegnazione di chi ha perso una battaglia \”perché nel mio ospedale non mi lasciano andare oltre la 41\”, la possibilità che il nostro corpo reagisca bene e la assecondi e\’ piuttosto bassa.
Se invece le ragioni per farla sono solide, e noi le abbiamo capite davvero e sappiamo che e\’ davvero il meglio per noi e se abbiamo escluso che ci sia offerta con leggerezza come pratica di routine, medicina difensiva o, peggio, per comodita\’, allora possiamo accoglierla come quello che davvero deve essere: un contributo incredibile che la scienza medica sa offrire. Il primo e piu\’ importante passo e\’ stato fatto.
E possiamo concentrarci a farla essere l\’interruttore iniziale di un processo accolto non con rassegnazione ma con grinta e gratitudine, nel quale scegliamo di continuare a guidare noi.
2) Supportare l\’induzione, non solo sopportarla.
Che avvenga con gel, fettuccia o iniezione poco cambia: il nostro corpo sta ricevendo dall\’esterno l\’ordine di lavorare.
E\’ il caso che il sistema interno sia d\’accordo. Troppo spesso si leggono racconti di travagli infiniti e atroci in cui a un\’induzione sono seguite contrazioni dolorosissime e ingestibili. E\’ normale.
Se l\’ossitocina che arriva dall\’esterno incontra un sistema interno di adrenalina e tensione (proprio in risposta all\’induzione magari!) non può che esserci un cortocircuito: un lavoro muscolare -perché ve lo ricordate cosa sono le contrazioni, vero??- che diventa meccanico ma non incontra le condizioni interne ottimali per avvenire in maniera efficace. Una tortura medievale.
Chiudersi in una bolla di positivita\’ e rilassamento diventa cruciale. L\’induzione avvia il processo: ma poi il lavoro dobbiamo farlo noi. E da noi -dai nostri pensieri, dal nostro respiro- dipende la nostra ossitocina interna: un circolo di positivita\’ in cui chimica ed emotivita\’ sono strettamente interconnesse. Un lavoro fisico e mentale di connessione, respirazione e positivita\’. Come molte altre cose, non e\’ facile, ma e\’ semplice.
Poter indurre un parto, come a una mamma con cui abbiamo lavorato di recente, per essere sicuri che il bambino nasca accanto a chi dovrà operarlo al cuore poche ore dopo e\’ qualcosa di incredibile. Limitare i rischi dell\’inatteso per poter intervenire su un cuore cosi\’ piccolo. E\’ il rendere possibile l\’impossibile che fa della medicina qualcosa di magico e epico. Meraviglioso. Duro e difficilissimo, ma innegabilmente magico.
Qualsiasi sia la ragione per l\’induzione -e qui certo non si discute nulla di medico- se induzione deve essere significa che il bambino e la sua mamma possono fare insieme quel pezzo di strada che e\’ la nascita. Significa che quel corpo può aprirsi, anche se con un aiuto esterno. Significa che quel bambino deve scivolare fuori e la sua mamma puo\’ rilasciarlo.
Che l\’attenzione resti puntata su quella magia. Sull\’intervento come polvere di fata che permette di prendere il volo.
Induzione non significa che in pochi minuti il travaglio sara\’ partito e il bambino sara\’ nato.
A chi ci sta intorno il compito di controllare, ma a noi quello di uscire dal rigore delle ore e dei centimetri: lasciar passare le prime ore con la stessa fluidità con cui si deve affrontare qualsiasi travaglio.
Portarsi un ipad o un computer con una serie divertente, che distragga e faccia ridere. Evitiamo il tranello del \”e adesso?\”, \”oddio un\’altra contrazione\”.
La nostra corteccia deve spegnersi comunque. Noi e il nostro bambino dobbiamo comunque trovarci in quella bolla la\’ giù dentro di noi, tra il sonno a la veglia. E questo, questo dipende da noi, non dall\’induzione.
A chi ci assiste lasciamo gestire la parte tecnica. E diamogli fiducia.
Sara\’ anche stata indotta, ma e\’ un dettaglio irrilevante: e\’ la sua nascita. Noi, che siamo i suoi genitori, occupiamoci della parte magica.