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E poi mi diranno quando spingere…o anche no.

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Il nostro parto e\’ strettamente connesso a quello che pensiamo e proviamo. Quello che pensiamo e proviamo e\’ strettamente connesso a quello che sappiamo. Ma quello che sappiamo non sempre e\’ completo, ne\’ sufficiente. Non sempre e\’ verificato.

E a volte non sappiamo neanche di saperlo.

Chiamatelo subconscio, memoria procedurale, ricordi latenti o come vi pare: il nostro cervello ha raccolto un database di informazioni per tutta la vita, e alcune le abbiamo interiorizzate come mappe mentali su cui ci muoviamo con fiducia (a volte ben riposta, altre meno). E\’ un circolo vizioso di cui non sempre siamo consapevoli e sul quale non sempre abbiamo controllo. Un circolo sottile e delicato, che ha un impatto chimico e fisiologico enorme, ma il limite di essere difficile da delimitare e controllare.

Che il modo in cui partoriamo dipenda moltissimo dalla nostra psiche, mentalità e emotività e\’ ormai un mantra che leggiamo ovunque, e magari abbiamo anche iniziato a crederci.

Ma poi nella pratica, ci accorgiamo quando proprio i nostri pensieri ci fanno lo sgambetto? La verità e\’…NO. O almeno non sempre.Di tutti gli sgambetti che abbiamo l\’abitudine di farci da sole, ce n\’e\’ uno particolarmente diffuso. Una frase -detta, pensata, interiorizzata- che dice più o meno cosi\’: \”E poi mi diranno quando spingere\”.

La convinzione che per far nascere il nostro bambino qualcuno debba dirci quando spingere ha radici che affondano profondamente. Dentro di noi, nelle nostre aspettative, nella nostra cultura e, cosa non meno importante, nell\’atteggiamento dei professionisti in sala parto. Ma attenzione: non sono radici. Sono spine.

La convinzione che qualcuno debba dirci quando spingere sta li\’, subdola e silenziosa, insieme a tutte le altre invisibili firme di delega con cui spesso, senza quasi mai rendercene conto, affrontiamo parto e travaglio.

Noi guardiamo film in cui una specie di curva da stadio dice alla donna \”Spingi, spingi\”. E ci aspettiamo si faccia cosi\’. Siamo figlie di donne (quando non donne noi stesse) a cui hanno insegnato/imposto -e da cui hanno preteso- cose contro natura come spingere tenendo il respiro. Sdraiate sulla schiena con le gambe alzate per di più.

La convinzione che qualcuno debba dirci quando spingere ci mette in ascolto. Ma nella direzione sbagliata. Infatti ci mette in ascolto di qualcosa che deve venire dal di fuori. Mentre (e\’ banale, e come tutte le cose banali non si ripete mai abbastanza) la prima voce da ascoltare e\’ quella dentro di noi. Quella che ci direbbe cosa fare e come farlo in modo molto molto chiaro. Se la lasciassimo parlare. E fin dai primi giorni di gravidanza.

Lo abbiamo detto e ripetuto mille volte e chi ci legge lo sa: riteniamo l\’assistenza ostetrica un privilegio a cui non rinunciare MAI. Ma abbiamo detto e ripetuto molte volte che il privilegio vero e\’ proprio l\’assistenza, che e\’ cosa ben diversa dalla gestione del parto. Si comincia con l\’avere accanto qualcuno che vede il tuo corpo non come un\’imperfezione che la sua superiorita\’ può raddrizzare ma come qualcosa di potente e meraviglioso che la sua competenza può facilitare.

E quando e come spingere, tu lo sapresti. Se sapessi di saperlo. Soprattutto perché più che di spingerlo fuori, questo bambino, c\’e\’ bisogno di lasciarlo andare.

E allora, dopo essersi assicurate di partorire con un\’ostetrica di quelle vere (e ce ne sono tante e sempre di più), che sa misurare le parole come i centimetri della cervice, la frase \”Mi diranno quando spingere\” diventa, deve diventare: \”Sentirò quando e come spingere. O forse respirare.\”

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