Autosvezzamento, o meglio: Alimentazione Complementare a Richiesta. Intervista al pediatra Lucio Piermarini.

Si sente parlare sempre più spesso di autosvezzamento. Però, tra scaffali del supermercato ancora pieni di omogeneizzati, consigli affettuosi ma pur sempre poco aggiornati delle nostre mamme, e pediatri che ancora prescrivono misure e orari delle pappe come fossero medicine, poche di noi hanno davvero le idee chiare su cosa significhi -in teoria e soprattutto in pratica!- lasciare che un bambino si svezzi da solo. E sul perché sia seriamente raccomandato.

Dopo aver letto il suo bestseller “Io mi svezzo da solo” ne abbiamo parlato con l\’autore, il pediatra  Lucio Piermarini, che ci ha chiarito molto le idee.

Mettiamo subito in pratica, e vi diciamo che il termine giusto -da usare non per amore di tecnicismo ma come promemoria dei 3 aspetti importanti della vicenda!- è Alimentazione (1. mangiare) Complementare (2. parallelamente al seno) a Richiesta (3. quello che il bambino chiede).

Vi raccontiamo cosa gli abbiamo chiesto -e soprattutto cosa abbiamo imparato!- a proposito della bellezza di allargare la tavola di famiglia ai più piccoli. Possiamo decisamente concederci di lasciar perdere con sicurezza usanze astruse: benché tradizionalmente consigliate dai pediatri non hanno alcuna base di evidenza scientifica, e sono anche molto meno divertenti del mangiare tutti insieme.

E non ci crederete… ma questo è anche il primo medico da cui, proprio attraverso le pagine del suo libro, abbiamo sentito chiedere scusa per certe cose che accadono in  alcuni reparti maternità (anche se lui non li ha chiamati proprio così). Ne abbiamo approfittato per ringraziarlo, a nome di tante.

Stiamo preparando il link al podcast (podcast? Hai detto podcast? Stay tuned!) dell’intervista completa e vale la pena sentirlo parlare questo pediatra: cortese e molto chiaro, Piermarini ci ha dedicato parecchio tempo. Ma intanto, leggetelo qui!

Quello che alcuni chiamano autosvezzamento, tecnicamente è Alimentazione Complementare a Richiesta. In parole povere stiamo parlando di dare da mangiare ai nostri figli, dai 6 mesi in poi, quello per cui mostrano interesse a partire dalla tavola della famiglia, mentre continuiamo ad allattarli?

Corretto. Va sottolineato l’aspetto della Richiesta: è il bambino che chiede, in contrapposizione all’idea che sia il genitore a dover offrire. Non è semplicemente, come spesso viene interpretato in modo frettoloso o errato, il semplice dare ai bambini tutto quello che mangiano i genitori. Il bambino mangerà quello che lui chiede.

Conseguenza naturale di questo, è l’aggiustamento -più o meno drastico- dell’alimentazione dei genitori in modo che possa includere facilmente la dieta del bambino. Questo approccio pretende dalla famiglia il seguire una dieta corretta. È assolutamente inutile una regolamentazione ferrea dell’alimentazione del bambino, prescritta da chicchessia, se si lascia poi che i genitori  continuino a mangiare in maniera scorretta. Prima o poi il bambino mangerà come mangiano i genitori, stiamo solo rimandando problemi senza risolverli alla radice.

Il presupposto è partire da un’alimentazione sana in famiglia, per poter allargare la tavola al bambino. Alla prova dei fatti, non si riesce a cambiare il proprio stile alimentare successivamente, e, di fronte a un bambino più grande, viene da prestare meno attenzione. Ma soprattutto, più avanti, potrebbero essersi instaurati -come spesso avveniva- quei meccanismi del tipo “Purché mangi, si fa mangiare qualsiasi cosa”.

La quantità è la parte più semplice da gestire per il bambino. È difficile che un bambino mangi più del necessario, se non è stato alterato il suo meccanismo di autoregolazione. Semmai la preoccupazione potrebbe essere il cosa mangia. Certo va fatta attenzione che non mangi solo le cose più golose. Ma nel contesto di una famiglia che segua una dieta corretta, il bambino sa regolarsi benissimo sia per qualità che per quantità. Quando poi più avanti l’influenza del mondo esterno aumenta -a scuola, con gli amici, di fronte alla pubblicità in TV- avere alle spalle una famiglia senza problemi relativi all’invenzione dell’inappetenza del bambino è fondamentale. Questo si ottiene con l’Alimentazione Complementare a Richiesta, che poi diventerà semplicemente, con il crescere del bambino, alimentazione a richiesta.

Nei primi mesi, ovviamente, complementare perché associata all’allattamento inteso come allattamento a richiesta. Pensa che possiamo dare per scontato che ormai tutte le donne in Italia vengano supportate in questa direzione?

Beh, quando si incontra una mamma che allatta, di solito ha un’informazione esatta e lo fa senza orari; anche perché quando le donne non hanno le informazioni giuste, probabilmente alla fine non allattano. Dopo aver allattato a richiesta, ritrovare il concetto di richiesta anche nel contesto dell’alimentazione complementare, è ovviamente più semplice.

Illustrazione del pediatra Franco Panizon

La stragrande maggioranza delle mamme dà per scontata la necessità di liofilizzati, cremine, procedimenti e prodotti appositi e spesso costosi. Il suo libro si apre con una critica molto accurata proprio alla totale assenza di basi scientifiche a supporto delle pratiche di svezzamento tradizionale. Ci riassume perché lo svezzamento tradizionale non ha ragione scientifica di esistere?

Lo svezzamento tradizionale, così come tante prassi e abitudini mediche, è dovuto passare al vaglio dell’Evidence Based Medicine -la medicina basata su prove di efficacia concrete- e questo è un approccio molto severo e corretto di valutazione, diventato molto più serrato negli ultimi decenni. Questo ha confermato molte cose corrette ma portato cambiamenti molto diffusi in molti campi della medicina, e sotto questa tagliola della verifica scientifica è incappata anche la modalità con cui introducevamo alimenti solidi. Questo è avvenuto perché non funzionava. I bambini svezzati nel modo tradizionale non mangiavano correttamente, diventavano -a giudizio delle famiglie- tutti inappetenti, capricciosi, spesso mangiavano troppo o troppo poco, quasi sempre mangiavano male. Qualcosa di vitale importanza come l’alimentazione del bambino -così come è importante per il bambino più piccolo avere il latte della mamma e non un suo sostituto come spesso succedeva- andava a finire quasi sistematicamente male.  Molto in letteratura medica indicava chiaramente che non era quello il modo, mentre sullo svezzamento tradizionale non c’era una pubblicazione scientifica che ne dimostrasse l\’efficacia. Come l’allattamento a richiesta, in un contesto corretto, ha eliminato molti problemi dell’allattamento al seno, così con l’alimentazione complementare a richiesta le cose funzionano meglio.

Illustrazione del pediatra Franco Panizon

Resta il fatto che la maggioranza di noi va dal pediatra e riceve le stesse informazioni che lei ha appena puntualmente abbattuto. C’è più ignoranza o malafede?

Prevalentemente ignoranza, ignoranza delle pubblicazioni. È un’ignoranza da pigrizia, da non abitudine a aggiornarsi, da una presunzione di saper già tutto, poi confortata dai messaggi promozionali dell’industria, così come avveniva con i sostituti del latte materno. E poi dai non-messaggi di confutazione che sarebbero dovuti venire dalle società scientifiche mediatiche le quali dovevano, per dovere istituzionale, essere al corrente di quanto la ricerca aveva prodotto e del fatto che certe modalità di conduzione alimentare andavano modificate. E questo perché? Probabilmente anche perché, anche nelle società scientifiche, c’è un certo grado di conflitto di interesse dal momento che hanno -del tutto legittimamente- qualche finanziamento da chi quei prodotti li produce. Penso sia stata un po’ un’inerzia dovuta a tutto questo; non sempre malafede, ma in qualche caso sì. Tant’è che ci sono spesso denunce di comportamenti scorretti da parte di personale medico che per solo interesse, non per altro, si comportano in maniera scorretta rispetto a quello che la ricerca suggerirebbe. Quindi sono diversi fattori che si sono andati a sommare e sostenere vicendevolmente.

Quello delle svezzamento è l’ennesimo punto della lunga serie di temi che le mamme del 2018 hanno la possibilità -ma anche la sfida- di riscoprire, ma devono dare picconate belle forti a strati e strati di usanze antiquate e scientificamente infondate. Lo svezzamento tradizionale sembra avere molto in comune con l’assistenza al parto tradizionale: meccanicistica, industriale, per nulla improntata alla relazione con il singolo e soprattutto cieca all’esperienza emotiva di tutti i coinvolti, in particolare il bambino. Si è dovuto sviluppare l’uso del termine “parto attivo”, come se davvero esistesse un parto passivo e ora ci concediamo di riscoprire l’Alimentazione Complementare a richiesta (l’allargare la tavola di famiglia ai nostri bambini!) sotto gli strati dello svezzamento tradizionale. Ma secondo lei come hanno fatto i suoi colleghi in soli 70 anni a sotterrare l’acqua calda così in fondo?

Ripenso alla mia esperienza personale: dopo la laurea si iniziava a frequentare altri colleghi e reparti ospedalieri e un atteggiamento che si incontrava spesso era che quello che si era studiato non contasse molto, la vera medicina veniva dalla pratica quotidiana. Si entrava in una routine da cui difficilmente si usciva, non c’erano stimoli a ripensare quello che si faceva quotidianamente. Era quella che si chiamava medicina paternalistica, io come papà che tu devi accettare perché non sei in grado di contestare. In realtà questo era già contestato quando mi sono laureato: ricordo un libro in particolare, il primo capitolo era “La relazione con il paziente”, che però veniva regolarmente saltato. Insomma questa problematica c’era già, bastava che ce la facessero notare e approfondire, e invece veniva ignorata. Oggi fortunatamente le cose sono un po’ cambiate; l’aggiornamento è obbligatorio e deve essere continuo. Non è fatto benissimo perché non ci sono reali verifiche, né sull’aggiornamento né sulla qualità del lavoro. È facile credere di stare procedendo in maniera corretta e invece fare qualcosa che non va.

Forse è necessario un mettersi in gioco anche personale. Ci ha molto colpito leggere le sue “tardive e spero non inutili scuse” alle donne con cui ha lavorato in quelli che lei nel suo libro, senza andare tanto per il sottile, ha chiamato nidi-lager ospedalieri. È la prima volta che, in una pubblicazione divulgativa, troviamo un medico fare un atto tanto coraggioso e umile. A nome di tante donne che in quegli ospedali hanno partorito o, come noi, ci sono nate, la ringraziamo. 

(Lo sentiamo sorridere al telefono)

E chiudiamo con la nostra domanda di rito. Può dire una cosa a tutte le mamme, cosa vuole dire?

Farei un parallelo con quello che è successo a me. Il cambiamento nel mio modo di fare, dopo i primi anni post laurea in cui ero appunto precipitato nella routine, è stato un incontro casuale con la scuola pediatrica dell’ospedale Burlo Garofalo di Trieste, che aveva un approccio assolutamente coerente con la ricerca scientifica. Era diretto dal Professor Panizon, un pediatra che frequentava poco le ribalte, ma un grandissimo pediatra e un grandissimo uomo, fondatore delle due riviste più lette dai pediatri e dai genitori (“Medico e Bambino” e “UPPA”). Lui, e chi lavorava con lui diffondendo questa modalità attuale e coerente con la ricerca, ci ha insegnato a comportarci secondo l’evidenza scientifica. Significa mettersi a lavorare ogni giorno sui problemi, senza cercare le soluzioni solo nella routine o solo nell’intuito (anche se quello indubbiamente serve), ma anche nei dati scientifici a disposizione, che oggi è anche più semplice che in passato.

Alle mamme direi: fate la stessa cosa! Se volete diventare partecipi e attive della vostra salute e di quella dei vostri bambini, informatevi da fonti accreditate. Mettete da parte la cartomante o il medico con pendolino e fialette d’acqua e informatevi da fonti certe. Spesso non sono informazioni che gratificano nell’immediato o danno soluzioni pronte, ma danno l’informazione corretta. Permettono non di fare da soli, ma imparare a chiedere: chiedere ragione di quello che viene consigliato. Cosa che poi aiuta il medico a cambiare lui stesso il proprio atteggiamento. Avere di fronte una famiglia informata rasserena molto l’operato del medico. Informatevi, da fonti certe, e con queste informazioni confrontatevi positivamente con i vostri medici.

IL PARTO POSITIVO CONSIGLIA:

Lucio Piermarini, Io mi svezzo da solo, Bonomi Editore 2008

Un libro semplice, simpatico e scientifico: per imparare a fidarci dei nostri bambini anche a tavola.

Vi ricordiamo che sul sito di Bonomi Editore -che NON paga pubblicità sul nostro blog- le nostre lettrici hanno lo sconto del 20%! Basta usare il codice PARTOPOSITIVO.

Ricordatevi anche l’app BabyBrains sviluppata dalla nostra neuroscienziata personale, Silvia! È  totalmente gratuita e, guarda caso, intorno al sesto mese compare qualche attività col cibo! Su Google Play Store e App Store!

Condividi l'articolo

Sfloglia un altro articolo

Iscriviti alla nostra newsletter

Riceverai Novità e contenuti esclusivi in anteprima!