UN PARTO POSITIVO NON E\’ UN PARTO PERFETTO

Anche noi di IPP sappiamo che nulla nella vita è solo positivo. Rispettiamo e onoriamo anche le ferite.

 

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Scrivere di gravidanza e parto è come essere un elefante in una sala di cristalli. Per quanto si cerchi di esprimersi con moderazione e rispetto, si finisce sempre per gettare inavvertitamente sale su ferite aperte.

Il fatto è che a noi mamme (presenti e future) le ferite (subite e temute) non mancano. Per dare al mondo i nostri figli, ci dobbiamo aprire andando contro ogni istinto di auto-difesa (perché l\’istinto di preservare la specie lo batte), diamo spazio, ci dilatiamo, ci laceriamo, ci lasciamo tagliare dal bisturi. Comunque vada, il nostro corpo porterà per sempre ferite e cicatrici, più o meno visibili, più o meno dolorose.

E così anche la nostra mente.

E così anche il nostro cuore (chiamatelo pure \”sede delle emozioni\” se la parola \”cuore\” vi dà la nausea appena la leggete).

Elaborare quello che ha ferito la nostra mente e il nostro cuore è importante tanto quanto esercitare il pavimento pelvico dopo il parto…e altrettanto faticoso (o forse di più).

Dopo il mio primo parto ero felice. Il mio bambino era sano. Io ero sana. Il mio travaglio era stato lungo ed intenso. Stressante a momenti. Come una ferrata un attimo troppo alta per il mio livello alpinistico. Meraviglioso.

Tutto si era svolto nel rispetto più totale della mia fisiologia, mio marito e la mia ostetrica erano stati meravigliosi. Raphaël ha subito imparato a poppare e (dopo il normale dolore ai capezzoli -mitigato alla grande dalla meraviglia- della prima settimana) l\’allattamento proseguiva a gonfie vele. Ero veramente sinceramente pienamente felice.

Eppure.


Eppure avevo anch\’io la mia ferita profonda. Quella di cui per mesi non ho parlato. Quella alla quale non sapevo nemmeno pensare. Oggi posso raccontarvela perché, lentamente, le piastrine del cuore stanno facendo il loro lavoro.

C\’era meconio nel liquido amniotico di Raphael*. Le ostetriche mi hanno spiegato che questo succede quando il piccolo è un po\’ a disagio**. Se il meconio viene inalato, rende la respirazione più difficile e può provocare infezioni.

E infatti Raphi – faccio fatica a scrivere… non è stato accolto dolcemente fra le mie braccia.

Era uno dei motivi fondamentali per cui avevo deciso di partorire a casa: un post-parto dolce, tranquillo e senza tempo.

Invece il nostro cordone è stato tagliato in un baleno, le ostetriche se lo sono preso e hanno fatto le manovre necessarie perché potesse respirare. \”Dov\’è il mio bambino?\” Dicevo, smarrita. Neanche cinque minuti, a quanto pare. Ma in quel momento erano l\’eternità.

Insomma, tutto lo yoga che ho fatto, tutte le tecniche di rilassamento che ho preparato, tutte le posizioni su cui mio marito ed io ci siamo esercitati, tutti i video positivi che ho guardato… Tutto questo non è bastato. Non ho saputo dare al mio bambino quello che ritenevo fosse meglio per lui.

Sapevo cosa sarebbe stato meglio, e non ho potuto farlo. Dolore puro.

È stato il caso? È stata la mia incapacità ad anticipare di cosa ho bisogno (all\’occorrenza, la presenza di mio marito, che quel weekend invece sarebbe dovuto andare al matrimonio di sua sorella)? È stata la mia rigidità davanti all\’imprevisto (non avrei mai creduto possibile che il mio primo figlio nascesse cinque giorni prima del termine)? Non lo saprò mai.

Il fatto è che, nonostante il 99.9% dell\’espereienza sia stata positiva, non ho potuto accogliere mio figlio come volevo. E questo fa un male cane.

Ecco. Se mi aveste incontrata nell\’anno che ha seguito la nascita di Raphaël, vi sarebbe convenuto non parlare di quanto siano importanti i primi secondi per l\’esperienza del bambino e per la qualità della relazione.

La leggendaria coda di paglia avrebbe immediatamente preso fuoco e vi sareste trovati sommersi da una valanga di difensivi improperi.

Se mi aveste invece detto che in realtà non è grave, che i bambini sopravvivono anche a separazioni ben più lunghe, che l\’importante è che sia il bimbo che io siamo sani…allora vi sarei stata eternamente riconoscente.

Ma quanto sono felice oggi di non essermi fermata a queste sbrigative rassicurazioni. Come sono felice che la mia seconda gravidanza mi abbia messa di fronte ai miei fantasmi. In mezzo a tutta la gioia, i bei ricordi e la soddisfazione, anche la ferita c\’è: è parte di me ed è parte di Raphaël. Fa parte della nostra bellissima imperfezione.

Della mia ferita aperta di oggi invece, non vi posso raccontare. Non so nemmeno di averla. Però di sicuro scatto e scintillo per chissà quale lacerazione che mi fa talmente male, che preferisco far finta di non averla. Abbiate pazienza: sono una mamma. Quando farà un pochino meno male, ci lavorerò.

Per tornare a IPP, non solo non siamo hippy, ma non siamo nemmeno ottimiste a tutti i costi. Se parliamo del lato positivo del parto, lo facciamo nel rispetto e in onore del dolore che ogni donna e ogni bambino trovano sulla loro strada (ogni ferita può essere una splendida occasione di crescita).

Ma il dolore inutile, il dolore represso, il dolore negato… quello preferiamo evitarlo.

#Silvia

* Sì infatti. \”Parto in casa\” non vuol necessariamente dire \”Tutto rose e fiori\”. Ma dell\’argomento \”Cosa succede se succede qualcosa?\” parliamo altrove.

** Per scrupolo di precisione, segue la causa del liquido tinto. Quando al bambino arriva un po\’ meno ossigeno, il suo corpo intelligentemente seleziona: fa arrivare ossigeno agli organi più importanti (detti nobili) come cervello, cuore o reni e lascia gli altri con sangue meno ossigenato. Tra questi c\’è l intestino che in seguito a questa ipoossigenazione si rilassa e fa uscire il meconio.

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