Piano del parto: cosa è permesso?

Continuiamo il nostro piccolo tour di settembre nel tema del piano del parto.

Dopo aver stabilito su quali valori costruirlo, diventa importante capire cosa metterci dentro. E qui, c\’è il primo grosso problema: capire cosa dipende da noi e su cosa possiamo/dobbiamo/vogliamo esprimere preferenze.

Se ne stiamo parlando con ostetriche fisiologiche e rispettose, questo post non ci servirà a molto. Saranno loro per prime a chiederci come preferiamo trattare questo o quest\’altro tema e sarà molto probabilmente proprio grazie a loro che scopriremo di doverci informare su cose che prima non avremmo saputo nemmeno nominare e sulle quali invece è richiesta la nostra opinione.

Ma la verità, purtroppo, è che nel momento in cui interagiamo con una grande organizzazione ospedaliera, per quanto rispettosa e amica-del-bambino essa possa professarsi, il rischio di avere a che fare con protocolli sviluppati su un quadro statistico e non elaborati su misura per ogni singolo caso è reale. E ancora più reale è la possibilità di ritrovarsi automaticamente rivestite dell\’atteggiamento di delega e fiducia cieca che qualsiasi malato ripone speranzoso nel medico che lo cura. È quello di cui abbiamo parlato quando ci siamo occupate de Il vero problema dell\’ospedale.

Come si traduce nella pratica?

Semplicemente, in quella sorta di educata rassegnazione perfettamente sintetizzata nel \”Nel mio ospedale non mi lasciano…\” che così spesso sentiamo dire o, peggio, diciamo noi stesse.

Ecco, allora dove inizia un vero piano del parto: nell\’accettare che le cose che dipendono da noi e su cui abbiamo il diritto (e nei confronti di nostro figlio il dovere) di esprimerci sono davvero molte. Quasi tutte. Dai dettagli più minuscoli a quelli più macroscopici.

Cose ovvie, in teoria, come quelle che hanno a che fare con la tua sfera psicologica ed emotiva. Chi ti accompagna, come desideri essere chiamata, che si rivolgano a te, che cibo portare, che ambiente creare ecc…

Ma anche, e questo è il lato più delicato, cose più tecniche. Se, come è normale, la tua gravidanza è fisiologica, hai il dovere di avere con te un\’ostetrica qualificata che possa riconoscere i segni di un\’eventuale allontanamento dalla fisiologia. Ma hai anche il diritto (e nei confronti di tuo figlio, secondo noi, il dovere), di essere trattata da persona sana: perfettamente in grado di partorire, in modo sano, il proprio bambino.

E allora diventa necessario prendere posizione anche su quelle cose che una certa mentalità, che a noi pare davvero molto anti-femminista, ci ha convinto essere dominio solo della scienza medica. Diventa necessario accettare, tramite il consenso informato -ma informato davvero-, eventuali interventi. O rifiutarli. Consapevolmente.

E questo vale per le esaminazioni vaginali, la rottura artificiale delle acque, il permesso di mangiare e di bere, il movimento… Un esempio su tutti? L\’induzione di routine passata la 40. Che non significa che noi consigliamo a tutte di rifiutarla. Ma la frase \”Nel mio ospedale non ti lasciano andare oltre la 40+X\” è inaccettabile. Un piano del parto allora diventa uno strumento per confrontarsi con chi ci assiste, non solo capire cosa desideriamo noi ma forse anche capire se quello che ci offrono risponde alle nostre esigenze. Lavorando attivamente e consapevolmente, da adulti responsabili quali siamo, con chi ci assiste.

Il vero tarlo, estirpato il quale potrai davvero preparare un piano del parto che sia vostro davvero, è il tarlo del \”Non mi lasciano\”. Figlio diretto di quell\’atteggiamento che purtroppo molti professionisti ancora hanno nel dire \”In questo ospedale ti lasciamo…\”.

È un cambio di mentalità che passa dal cambio di atteggiamento, e viceversa.

Quindi, perché un piano del parto sia davvero tale, il primo passo è: la responsabile di questo bambino, sono io. Un piano del parto non è una lista meccanica di cose da fare o non fare, ma il nostro strumento più accurato per separare i protocolli statistici dall\’assistenza personalizzata.

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