Ieri gironzolavo (Cecilia qui) nella libreria dell\’Aeroporto di Firenze in attesa di un volo – miracolosamente l\’unico della giornata di sciopero a non essere cancellato – quando mi è caduto l\’occhio su un librino arancione, con una sagoma di donna incinta in copertina e il titolo La fine della madre. Prevedibilmente, l\’ho raccolto senza grandi aspettative e sfogliato con quel torpore mentale che ti coglie tipicamente nei non-luoghi come le zone di transito.
Poi però l\’occhio mi è caduto su una frase, e al torpore dei non-luoghi ha iniziato a sostituirsi quel pizzico di pelle d\’oca che io e Silvia condividiamo dalla nostra prima chiacchierata. Quel fremito che viene quando il cervello si sintonizza inaspettatamente sul tuo sottopelle e la mente e il cuore scattano sull\’attenti.
La caduta del termine origini, così carico di echi significativi, sostituito da un semplice dato biologico, rivela quanto la nostra cultura tenda a svuotare di importanza una questione decisiva nella vita di ogni essere umano.
Non intendo tediarvi con quanto pregnante io trovi il tema dell\’Origine, e come sia proprio in questo termine il cardine invisibile ma ferreo che lega la mia laurea e dottorato in Estetica e Filosofia dell\’Arte a una cosa a loro apparentemente così aliena come l\’occuparsi di mamme in attesa. A volte qualcuno fa vibrare quel filo rosso che va dalla Filosofia alla Maternità e c\’è un campanellino che tintinna, solitario e nascosto, ma a me molto caro.
Lo ha fatto tintinnare ieri Lucetta Scaraffia, storica e giornalista italiana, professore associato di Storia contemporanea presso l\’Universita degli Studi di Roma La Sapienza con il suo libro provocatorio, a tratti discutibile, ma solidamente sensatissimo: La fine della madre.
Qui sul blog, di maternità surrogata non abbiamo ancora mai parlato e tutto sommato preferiremmo continuare a non parlare. Ma questa è una rubrica di libri. E La fine della madre un libro comprato di impulso: 154 pagine lette senza pause tra il decollo da Firenze e l\’apertura della metropolitana a Londra Nord. Un libro che si è lasciato sfogliare e sottolineare con passione, che merita di essere consigliato.
Un libro adattissimo, tra l\’altro, per essere letto proprio l\’8 marzo.
Perché l\’obiettivo polemico, critico e veemente, è la maternità surrogata, ma il tema di fondo e di partenza è il Femminismo.
Probabilmente, se una Femminista dei primi del Novecento si ritrovasse improvvisamente tra noi oggi, guarderebbe con orrore queste trasformazioni, che non erano certo nei suoi progetti. Il progresso per il quale combatteva era un altro, molto diverso.
Un\’analisi lucida, critica e ragionata (che ha la grande abilità di non scivolare nell\’ideologia) di quel percorso che è iniziato come una doverosa e necessaria pretesa di uguaglianza di diritti e possibilità da parte delle donne ma che (come abbiamo già detto qui) ha perso di vista l\’obiettivo. E oggi rischia seriamente la sconfitta finale: quel che è peggio, senza neanche accorgersene. Consentendo lo svuotamento di senso definitivo dell\’unico posto di comando storicamente, biologicamente e logicamente sempre e solo femminile: quello del parto. Con una violenza globale e inaudita che non solo investe -come sempre è stato nella storia- le donne, ma si allarga ai bambini.
L\’autrice analizza la pratica dell\’utero in affitto lungo linee storico-culturali, legali e economiche altamente consapevole delle implicazioni profonde e antropologiche implicate in ogni aspetto.
Nel caso dell\’utero in affitto c\’è solo l\’interesse dei potenziali genitori. Così come l\’insistenza sul termine consenso non fa altro che cercare di travestire con la veste della solidarietà una pratica che, in realtà, appartiene allo scambio mercantile.
La donna è al centro. E con lei, ovviamente, il bambino. Quel bambino a cui si vaneggia si possa avere un diritto, come se esistesse un diritto al bambino, che non corrisponde a nessuna definizione giuridica.
Un diritto incomprensibile anche perché non si capisce chi lo dovrebbe garantirlo stato forse? I i medici? Nessuno in realtà ha il potere di farlo.
Personalmente ho sempre pensato che alcuni bambini molto viziati siano cresciuti e confondano tuttora il desiderio con il diritto. Il Voglio e il Vorrei. Ma le pagine della Scaraffia sul desiderio lo dicono meglio.
Alcune righe poi sono molto pratiche: descrizioni chiare di cosa significhi davvero -in termini di rischi per la salute, iniezioni di ormoni, sfruttamento delle popolazioni più povere- quello che c\’è dietro le paroline carine di donatore, donatrice. Perché che alcuni siano a favore di queste pratiche per ignoranza e in perfetta buona fede è indubitabile.
Che poi, sarebbe bastato Kant -per tornare alla filosofia e chiudere- per metterci tutti a tacere e chiudere la questione. Con il suo imperativo categorico Ogni uomo è da trattare come un fine, e non come un mezzo.
E anche ogni donna, aggiungerei.
IL PARTO POSITIVO CONSIGLIA: Lucetta Scaraffia, La fine della madre, Piccola Biblioteca Neri Pozza 2017
Questo post partecipa ai Venerdì del libro di Homemademma.