Le colpe e i meriti di un parto.

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\”E\’ tutto merito della mia ostetrica. Se non ci fosse stata lei non ce l\’avrei fatta.\”

\”E\’ tutta colpa di quell\’ostetrica antipatica, mi ha messa così in ansia.\”

\”E\’ tutto merito del mio dottore: se non ci fosse stato lui non sarebbe mai uscito.\”

\”E\’ tutta colpa di quel dottore, ha insistito a volermi indurre e io non volevo.\”

\”Ormai a 41+2 mi fanno il parto indotto.\”

\”Non mi concedono di fare questo o quello se no devono attrezzarsi per concederlo a tutte.\”

\”Al corso preparto mi hanno detto che loro fanno così.\”

E poi l\’ultima, la nostra preferita: \”Nel mio ospedale non sono attrezzati per il parto in piedi.\”

Nessuna di queste frasi è inventata. Le abbiamo lette e sentite. E poi rilette e risentite da altre donne, in ogni forma e declinazione. C\’è sempre qualcosa per cui si deve ringraziare o chiedere il permesso. Rigorosamente senza discutere e senza disturbare.

C\’è qualcosa che si insatura fin da quei primi giorni di gravidanza -e, credeteci, ricordiamo con chiarezza di averlo provato anche noi-, qualcosa di subdolo e pauroso che ci mette in posizione di resa. A delegare. E tutta l\’esperienza della gravidanza e del parto, per molte, senza che neanche ce ne accorgiamo resta all\’ombra di questa delega. Un esempio? Ho scampato l\’induzione a 41+2 solo per la fortuna di entrare in travaglio da sola lo stesso giorno. 8 anni fa, al primo figlio a 27 anni, non mi sarei mai immaginata di poter anche solo pensare di dire No. (E non sto dicendo che si debba rifiutare, ma almeno sapere che si può e quali sono le ragioni per farlo.) Mi son beccata una bella iniezione di ossitocina per espellere la placenta (dopo un parto naturale, fisiologicissimo con bimba sanissima) senza che nessuno me lo chiedesse. 5 anni dopo l\’ho capito, rendendomi conto di essere stata totalmente passiva senza neanche averlo saputo. Mi hanno fatto danni? Probabilmente no. Ma io non ne avevo idea. Ero informata? Certamente no. Colpa mia, si dirà. Certo è che se i corsi preparto degli ospedali diventano corsi di aggiornamento sulle loro procedure anziché corsi di informazione vera e trasversale su tutte le implicazioni dei scelte che appartengono alle mamme e su tutte le opzioni che dovrebbero essere assicurate per legge e/o che l\’OMS raccomanda, non andiamo molto lontani.

Ma giustamente, come si sceglie, come si fa e come si pretende? E soprattutto cosa si sceglie, cosa si fa e cosa si pretende? In base a cosa?

Ci si affida alla botta di c**o. Speriamo di trovare persone che ci lascino/che ci facciano/che ci dicano. Speriamo di trovare persone che ci consentano di avere un\’esperienza positiva. Loro sapranno cosa fare.

Come se pensare di poter scegliere fosse incosciente. Come se pensare di saper fare fosse arrogante. Come se pensare di poter pretendere fosse maleducato. Come se pensare di mettere in discussione fosse inaudito. (Ne abbiamo parlato a proposito dello scollamento  e del vero problema dell\’ospedale.)

La domanda da farsi, fin dal primo giorno, non è \”Cosa devo fare?\” è \”Cosa posso fare?\”. Nel senso \”Quali sono tutte le opzioni reali?\”.

La domanda non è \”Cosa scelgo?\”, ma \”Come lo scelgo?\”.

La domanda non è \”Cosa voglio?\”, ma \”Come capisco cosa voglio?\”.

E poi, soprattutto, quali sono le cose che dipendono da me? Perché la verità è che -ovviamente nella cornice dei controlli che escludano condizioni patologiche- se siamo sane con in grembo un bimbo sano la maggior parte delle cose dipendono da noi.

E\’ da queste domande, da farsi a partire dal test di gravidanza -e intorno a cui ruota sia anche il nostro libro– che parte il vero parto attivo. E il fatto che abbiamo dovuto inventarci la formula parto attivo, per differenziarlo dal parto degli ultimi decenni, come se davvero esistesse un parto passivo, la dice lunga sulla struttura culturale che ci portiamo addosso.

Il parto è il nostro primo atto da mamme. È il caso di comportarci come tali: siamo noi che diamo agli altri il permesso di assisterci mentre diamo alla luce il nostro bambino. Siamo noi che concediamo agli altri il privilegio di proteggerci. Siamo noi in prima linea per nostro figlio. La scelta libera è un diritto. Quella informata un dovere.

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