Lo avevamo già suggerito qui, tra le 3 cose che bisogna subito smettere di fare, che guardare il calendario non è cosa molto utile, ma quello del \”termine\” della gravidanza è un tema che si merita un post tutto per sé. Perché la data presunta del parto, quella che a noi sembra una data tanto rassicurante non solo non ha alcuna aderenza col reale (solo il 4% dei bambini nasce in quella data) ma è anche, potenzialmente, alquanto subdola. |
Ce la piantano in testa al primo appuntamento col medico, quella data: un giorno preciso e determinato. Come se veramente qualcuno potesse sapere quando un bambino verrà al mondo, considerato che la gravidanza umana è perfettamente fisiologica tra 37 e 42 settimane.
Se solo il 4% dei bambini nasce alla data PRESUNTA del parto, in effetti, è proprio perché quella data è PRESUNTA. Una convenzione. Un piccolo delirio di onnipotenza, anche, diciamolo.
E un comprensibilissimo desiderio di sapere, controllare, prevedere da parte di noi mamme. Che ci caschiamo sempre con tutte le scarpe nel tranello del \”termine\”: piccola illusione di certezza in quella zona così sfumata e travolgente che è la nostra pancia dentro cui cresce un bambino.
Lo abbiamo già detto qui: siamo soglie metafisiche senza neanche sapere cosa sia la metafisica, il minimo che possiamo fare è mettere una croce sul calendario. Ad ancorarci a un qui e ora che renda il tutto meno sfuggente.
E, abituate a una vita dove avere date e orari ha senso e utilità, applichiamo, o lasciamo che altri applichino, più o meno inconsapevolmente- la stessa mentalità logistico organizzativa alla nostra gravidanza.
Il problema non è tanto che la data non ha senso vero, perché appunto è convenzionale e tiene conto di una durata del ciclo mestruale media di 28 giorni, che è una media.
Il problema è che a quella data restano incollati come alghe viscide una serie di pensieri -prima- e di scelte -poi- che non sono affatto neutri.
La data, alcuni dicono addirittura \”il termine\” o (peggio) \”la scadenza\”, come se fossimo vasetti di yogurt pronti a inacidire, crea aspettative. E sono aspettative subdole. Per tutto il mese precedente, almeno, inizia a illuderci di essere arrivate alla fine di quegli ultimi giorni di gravidanza che -va ammesso- possono essere piuttosto pesanti.
Arriviamo a 40 e, soprattutto al primo figlio, facilmente non succede niente. Così iniziamo a chiederci cosa fare se \”il bambino è in ritardo\”. In ritardo? In ritardo.
Qualcuno nomina l\’olio di ricino. Quello che i fascisti usavano per umiliare i dissidenti politici: un lassativo dal sapore disgustoso.
Ostetriche benevole o medici pietosi (??) inseriscono dita a smuovere membrane: senza dirci che questo aumenta il rischio di rottura delle membrane senza che il travaglio sia partito (a sua volta prima pedina del domino per una bella dose di ossitocina sintetica) e spesso senza che noi nemmeno sappiamo di avere il diritto di sapere se intendono farlo e di rifiutare.
Il fantasma dell\’induzione serpeggia anche quando nessuna la nomina davvero.
E soprattutto, la vecchia paura che ci sia qualcosa che non va trova presa facile. Perché è normale, umano, e soprattutto materno temere che ci sia qualcosa che non va.
Quello che nessuno ci dice, però, è che proprio questa tensione verso una data, insieme al pensiero più o meno esplicito che si possa essere davvero \”in ritardo\” (di per sé sinonimo di \”sbagliato\”, quindi \”rischioso\”) è un freno tirato per l\’unica cosa di cui c\’è davvero bisogno perché il bambino possa nascere al momento giusto: la nostra ossitocina. Cioè la nostra calma.
La data PRESUNTA del parto sta lì, zitta zitta, con tutto il potere falsamente rassicurante della logica e della prevedibilità, ed è una tigre dai denti a sciabola che ci mettiamo nel letto dal primo giorno. Quando è ancora cucciola, convinte quindi che sia innocua. E invece non si lascia addomesticare, e morde a tradimento.
Iniziare a pensare al termine della gravidanza come un periodo e non come una scadenza è un buon passo per risparmiare a noi stesse -e quindi a nostro figlio- l\’inutile stress degli ultimi giorni. Godersele quelle ultime settimane: con la loro estenuante e faticosa bellezza.
E quindi, in modo molto pratico e biochimico, aumentare le nostre probabilità di avere quello che nostro figlio si aspetta: un parto dolce e calmo.
La tensione del pensiero di essere oltre il termine è un potente inibitore della nostra ossitocina.
Se proprio abbiamo in testa una data…Ricordiamoci che ogni giorno in più è una vacanza bonus. E, in assenza di specifiche indicazioni mediche (il calendario da solo non è un\’indicazione medica) viviamolo come tale. Godiamocelo.