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Del giorno della memoria e del mettere al mondo bambini pronti a ricordare.

“Ho trovato che sono i piccoli gesti delle persone normali che tengono a bada l’oscurità, i piccoli atti di gentilezza e di amore.” Gandalf
Avevo pochi anni (Cecilia qui) quando sotto al mondo magico e soffice che i miei genitori avevano costruito per me ho iniziato a sospettare si aprisse un vuoto inevitabile.
E mio padre, reso forse ingenuo ed ottimista da una familiarità con l’abisso ormai radicata, ha ritenuto opportuno e preferibile scoperchiarlo per me.
Ha creduto bastasse la forza di un amore incontrastato, unita a sicurezze che forse sperava meno fragili, per equipaggiarmi contro la vertigine che il male del mondo può provocare. Non so quale sia l\’età giusta per un viaggio della memoria in un campo di sterminio, ma ho come il sospetto che 8 anni sia un tantino presto. Ma tant’è.
E non è sempre necessario uno spostamento fisico per aprire ad un bambino l’accesso alla memoria collettiva. Era il 1993 quando usciva Schindler’s List e un altro papà benintenzionato (Silvia qui) portava i suoi bambini di 10 a 9 anni al cinema. Alla fine dello spettacolo, si ritrovava con una figlia svenuta in un mare di vomito. Quale reazione più appropriata alla scena in cui Amon Goeth, dopo aver fatto sesso, spara casualmente dal balcone della sua camera da letto, con la stessa leggerezza con cui si fuma la sigaretta post-coito?
Da allora, tra i tanti mostri che hanno abitato sotto al nostro letto, uno ha mostrato una certa ostinazione a restare, facendosi carico di dare voce con un’assiduità di cui gli va riconosciuto il merito alla moltitudine dolente e perseguitata, al Male che assedia ogni umanità.
Se per molti anni suo è stato l’incubo e un terrore un pò animale, col tempo ha stemperato la vicenda, iniziando a spostarsi sul lato della consapevolezza etica e infine, per fortuna, della voglia di reagire. Reagire al Male non con altro male (anche se la tentazione di indignarsi, lamentarsi, insultare poi passare ad altro è una nemica quotidiana), ma con il nostro piccolo contributo di Bene.  Anche se, considerate le contraddizioni in cui comunque si vive per il solo fatto di nutrire e vestire noi stessi e i nostri figli molto e ben oltre l’indispensabile, siamo ancora lontani da una riconciliazione definitiva.
Oggi è il Giorno della Memoria: ci impone di ricordare.
E ci impone di guardare i nostri bambini e chiederci come equipaggiarli.
Di quella visita-shock all’abisso, dal film dell’orrore più crudele, ci è rimasta sempre sotto pelle la controparte di quel dolore. Ordinatamente disposta lungo le stradine del quartiere dedicato ai soldati e alle loro famiglie, residenziale e ridente quanto quello dove abitiamo noi. Impossibile credere che mogli e famiglie potessero convivere con un orrore così vicino. La normalità che trasudava da quelle strade, la delicatezza del ferro battuto di quel cancello della scuola a poche centinaia di metri dal muro delle fucilazioni sembravano ancora più impossibili da reggere di baracche e camere a gas.
Oggi guardiamo i nostri figli fare colazione. Anche loro in fondo con le spalle all’orrore oltre il muro, se si ammette che la globalità dell’informazione quel muro un po’ lo ha spostato e i nostri vicini sono solo leggermente più in là di due strade.

Si dirà che però in famiglia non c’è un aguzzino infarcito di ideologia grazie al cui “lavoro” si gode vita agiata, ma per quanto ci si ritenga assolti, si sa, si è per sempre coinvolti (cit.).

E quindi? Come si riempie di senso quello che se no diventa solo retorico buonismo borghese?

Cosa diciamo ai nostri bambini?
Quanto margine di fiducia è bene che un bambino abbia nel mondo, e di quanto realismo è invece saggio equipaggiarlo?
“I cattivi non vincono mai”, ripeteva sempre quello stesso papà che aveva organizzato il viaggio della memoria.
Cadono tutti giù nel buco. Come ogni cartone per bambini può incontestabilmente dimostrare. Spesso e volentieri subito dopo essere stati perdonati e graziati dall’eroe buono, mentre stanno per colpirlo alle spalle.

Certo il limite che la frase I cattivi non vincono mai condivide con una grossa balla è sottile, eppure, a pensarci bene, la sua verità è l’assunto più sensato.
La prova logica, scientifica o matematica non l’abbiamo. Ma non rimane solo la fede cieca e pigra a farci sperare. Abbiamo le prove che chi crede nel bene fa il bene (ad esempio qui). Per dirla con Merton (1947): “Se gli uomini definiscono una situazione come reale, essa è reale nelle sue conseguenze”.
Quindi definiamo il bene come reale. Agiamo come se fosse reale e cosi facendo rendiamolo tale. Facciamolo da soli e facciamolo con i nostri figli. Facciamolo per noi stessi, per loro e per il Mondo intero.
Noi di IPP ricordiamo.
E ricordiamo la storia di Stanislawa Lezcynska, ostetrica deportata ad Auschwitz  che l’ordine di affogare tutti i bambini che faceva nascere miracolosamente nelle baracche non lo ha eseguito.
Dei circa 3000 bambini che ha aiutato a venire alla luce nel buio, poche decine sono sopravvissuti.
Ma tutti, tutti i 3000 bambini nati con lei erano nati vivi e accolti da occhi e mani amorevoli.

Il 27 Gennaio 1945 Auschwitz è stato liberato.

C’è sempre qualcuno che porta uno spiraglio di luce. Scegliere si può. Anche quando apparentemente non si può.

Si può sempre scegliere di tenere accesa la luce. Di essere quelli che lo fanno per altri.

Quindi ricordiamo il buio. E teniamo accesa la luce. Ricordiamo ai nostri bambini che la luce esiste. E insegniamo loro ad avere il coraggio di tenerla accesa.
Il buio è un’assenza, l’assenza di luce. La luce non è assenza di buio, è presenza di chi regge la luce.

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