Bonding: ovvero, se sai il mio nome, non sono già più io.
Buongiorno, piacere di conoscervi. Il mio nome è Bonding, James Bonding, per servirvi.
Come potete capire vedendomi in azione, sono un vero fico. Ho un’età assolutamente indefinibile: ho attraversato i secoli e i millenni con la tenacia delle cose infinite. Eh lo so lo so, modestamente, sembro sempre così giovane, aitante, potente…
Non per essere arrogante, ma è anche grazie a me, sapete, che non vi siete estinti. Date sempre il merito a quel vostro cervello razionale, che vi rende capaci di ideare e costruire tutto quello che vi serve e parlarvi… Ma senza di me, pochi di voi sarebbero sopravvissuti fino all’età per poterlo utilizzare quel cervello razionale con tutta la sua boria! Anzi, pochissimi di voi sarebbero sopravvissuti proprio per più di poche ore, appena nati. E non parlatemi di lupe e Remoli vari, che anche lì lo zampino era sempre mio, cosa pensate?!
Che colpa ne avete voi, del resto, se venite al mondo come poveri esserini implumi, sprovvisti di ogni benché minima autonomia per la sopravvivenza? Mi avete sempre fatto tenerezza, a sbrogliarvela così, incapaci persino di alzarvi in piedi appena nati. Cuccioli indifesi di mamme senza zanne. Poveretti…e non vi siete mai accorti di quanto io vi abbia aiutati!
L’ho capito subito che avrei potuto esservi utile. E, senza mai chiedere niente in cambio, vi ho serviti con dedizione e fedeltà. Ero sempre io lì in mezzo, nella relazione primaria, quel collante invisibile che univa pelle e sguardi in quel cerchio quasi magico intorno a cui era subito silenzio. E grazie a me, siete rimasti insieme. E grazie a me, vi siete conosciuti e riconosciuti. E grazie a me, non solo siete sopravvissuti, ma la vostra vita ha potuto essere improntata sull’amore.
Sono sempre stato io, ad attaccarmi ostinato e inarrestabile, a quell’unico momento di incontro; a quella voce; a quell’odore. Mi sono intrufolato ovunque con il coraggio delle cose necessarie: dalla giungla alla steppa, dal campo di concentramento al palazzo reale tra i sussurri della corte davanti all’ennesimo fiocco rosa che faceva tremare il trono.
Cacciato, abusato, spesso ignorato o quando andava bene dato per scontato, non ho smesso di servirvi nemmeno di fronte ai più alti tradimenti: sono rimasto dolorante e stropicciato persino dentro le pieghe dei grembiuli delle balie. Ho schivato come un ninja bisturi taglienti e certe cicatrici hanno lasciato il segno. Ho aspettato fuori dalle porte delle nurseries, preso a calci come un randagio eppure rimasto sempre cane fedele.
E non me ne sono andato!
Oggi però, state esagerando cari i miei umani. E da servo fedele e affezionato quale sono mi sento in dovere di farvelo notare.
Sono sempre stato sfuggente e misterioso, un vero figo, ve l’ho detto. Mi è sempre bastato sapere di aver fatto il mio lavoro, non chiedevo ringraziamenti né tanto meno pagamenti.
Nessuno di voi sapeva che ero lì, eppure c’ero e la mia potenza vi illuminava ogni volta. La lasciavate scorrere e inondarvi, per ritrovarvi uniti a quello sconosciuto che avevate appena partorito. E grazie a me, scoprivate che lo sconosciuto era parte di voi, uniti da un legame cui col tempo avete persino riconosciuto sacralità. Bravi!
Quando alla fine degli anni ’60, dopo il mio lavoro di millenni, avete iniziato a darmi attenzione (e avete persino scoperto come mi chiamavo!), ho creduto che finalmente il mio lavoro sarebbe stato onorato. Mi sono illuso che mi avreste fatto spazio e mi avreste accolto con onore, presentato al mondo con orgoglio: le mamme mi avrebbero visto in azione, avrebbero saputo di me! Ero anche andato dal parrucchiere per l’occasione. E ho sperato iniziaste anche piantarla di mettermi i bastoni tra le ruote con quella vostra folle abitudine di separare mamme e bambini negli ospedali. Che ingenuo! E invece…Mi avete agguantato, analizzato, smembrato, congelato e vi siete presi anche l’ardire e l’arroganza di misurarmi! Misurare me! Mi avete ridotto e incastrato in due giri di orologio. Alla tracotanza con cui pronunciate il mio nome, convinti di aver afferrato l’inafferrabile con la vostra solita übris, preferivo l’anonimato. Preferivo che le mamme mi sentissero senza sapermi. Oggi sono vittima di ingiurie irripetibili, ci sono donne in attesa che parlano di “protocollo del bonding”. Io lo so, come sempre voi umani, avete agito e agite in buona fede. Ed è il solo motivo per cui sono ancora qui, a perdonarvi ancora e ancora.
Ok, ho capito: alla vostra scienza, con tutti i suoi limiti, dovete molto, è vero. Lo rispetto. Che qualche scienziato e responsabile di protocolli si occupi di me cercando di domarmi e comprendermi con misure, buone pratiche, e linee guida lo posso anche accettare. Capisco che lo fa per aiutare anche me, là dove il mio lavoro diventa duro. E mi va bene, anzi, grazie!
Ma quel po’ di aiuto che riuscite a darmi nei casi limite è importante che rimanga ai casi limite. Ci sono ancora infinite situazioni in cui, scusate se ve lo dico onestamente, non ho bisogno di voi. Anzi, ecco, onestamente, situazioni in cui lavoro meglio senza di voi. E da quelle, vi chiedo gentilmente di stare lontani. A volte mi sembra di essere un ingegnere con un bambino che gli passa gli attrezzi e vuole dargli una mano…sono paziente e mi fa piacere mostrarvi il mio incredibile lavoro…ma quanta fatica!
Avete scoperto il mio nome e lo usate propriamente, molto bene. L’ho visto il vostro orgoglio nel pubblicare le vostre ricerche. Ma vi siete accorti con quanta leggerezza mi nominate ora, anche fuori dai circoli scientifici? Ok, gli inglesi ancora li capisco: con loro ho la fortuna di avere un nome banale, una parola che appartiene alla lingua di tutti i giorni…una parola che le mamme capiscono e risuona anche per loro, benché debolmente, di tutto il mio potere. Ma fuori dall’Inghilterra mi storpiate e strascicate…E quel che è peggio, dietro l’inglesismo, mi occultate e indebolite! Pensate di darmi importanza e non vi accorgete quanto invece scivoliamo entrambi nelle debolezze umane.
Non mi offenderò se farete finta di non conoscermi, ci faremo l’occhiolino da lontano. So essere umile, mi basta esserci. Chiamatemi per nome solo quando siamo tra di noi, in ambito scientifico. Ma sul mio posto di lavoro, lasciate pure il posto ai miei aiutanti eterni, amore, innamoramento, primo legame…o, meglio ancora, non chiamatemi proprio…!Nascondetemi in uno sguardo carezzevole, un sorriso pieno di dolcezza. Sarò lì con voi e insieme ci rafforzeremo.
Siate voi per primi, con il vostro esempio mite e silenzioso, a mostrare alle mamme la via verso quella zona senza parole che possono abitare a testa alta: il mondo dello scambio di amore unico e indissolubile con il loro loro bambino che nessuna parola può dire né contenere.
Siate voi per primi, con la deferenza dovuta alle cose grandi, a mostrare alle mamme il mio potere, che poi è il loro.
Io sono Bonding, James Bonding, ma se fate il mio nome troppe volte…non sono già più io.
Questo articolo è comparso per la prima volta sul numero 102 della rivista D&D dedicato a \”Il Bonding dopo i parti difficili\”.
Da questo numero siamo molto onorate e grate di contribuire a questa rivista non solo come collaboratrici esterne ma come parte del Comitato di Redazione.
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